domenica 9 febbraio 2014

IL TEMPO CHE MANCA PER EDUCARE E RESPONSABILIZZARE I FIGLI

                              

I giovani d'oggi sono la generazione della "TV babysitter", del "tutto e subito" e della "superpaghetta"; semplici luoghi comuni che però ci suggeriscono alla mente un domanda che da anni tormenta un po' tutti, psicologi e non: di chi è la colpa di tutto questo? La risposta più ovvia è "la società": frenetica e impietosa, non lascia tempo al tempo ma solo la possibilità ai ragazzi di apprendere il segreto del "vivere veloce" e comprendere i trucchi per una convivenza pacifica con le difficoltà giornaliere. Ma la prima società con cui il giovane viene a contatto è la famiglia. E' quest'ultima ad educarlo e farlo crescere con i principi, si spera, più morali possibili. Nel ventunesimo secolo però anche la famiglia ha accusato gli effetti negativi della convulsa realtà in cui abitiamo: al contrario di un tempo, quando il nucleo familiare era più gerarchico, genitori e figli sono spesso divisi da ritmi diversi e orari discordanti; il rapporto padre/madre-figlio è più conflittuale e spesso in casa si tende a considerare il lavoro l'unico argomento di dibattito. "I genitori di oggi sono schiavi del proprio mestiere" interviene la sociologa Anna Maria del Vello durante una conferenza incentrata sui problemi dell'adolescenza, tenutasi a Milano il marzo scorso. E questo che peso ha sui giovani? Influisce sulla loro educazione, sui rapporti col mondo esterno e sui valori fondamentali della società. Essere genitori oggi richiede, tra le tante capacità, mano ferma e maturità ma molti di questi requisiti non sono radicati negli adulti con prole; infatti ben il 46% si ritiene ancora abbastanza giovane e spensierato da riuscire a "tener testa" al figlio. Esce la sera, ha impegni con gli amici di sempre e si dedica ad attività extralavorative: ecco il genitore modello del duemila, al quale non interessa essere arrivato agli "anta" per smettere di giocare al "nuovo amico del figlio". Questo può portare a pensare che forse i genitori non sono più quelli di una volta, hanno dimenticato come si crescono i figli e cercano di assestare i rapporti con quest'ultimi intervenendo nella loro vita in modi alquanto stravaganti: autodefinirsi "nuovi amici" è decisamente meno complicato del ritenersi madre o padre, per il 37% degli adulti intervistati, e sicuramente permette loro di marcarli più stretti. E dato che i genitori "rifiutano" il loro ruolo naturale di solito sono i ragazzi stessi a confidarsi l'un l'altro prendendo il loro posto; si consigliano, si ammoniscono e crescono insieme come una "seconda famiglia". I genitori moderni vedono nel giovane insicurezza e immaturità ma non fanno nulla per responsabilizzarli se non dal lato economico e pratico: le famiglie italiane tendono a rendere consapevoli i propri figli dell'importanza del denaro e della stabilità finanziaria nella vita sin dalla prima adolescenza con la comparsa della "paghetta" (a volte abbastanza elevata); un ottimo metodo che purtroppo non aiuta, da solo, a far crescere i figli. Infatti sono sempre di più coloro che si lamentano della mancanza dei genitori nella loro vita quotidiana; ben il 49.6% dei padri è di norma più assente delle madri, le quali vengono viste dai figli come confidenti in modo maggiore rispetto al genitore del sesso forte. Abbiamo fatto dunque un passo indietro nella storia ritornando all'epoca in cui le donne erano unicamente levatrici devote, ansiose e instancabili? Sicuramente no dato che, sondaggi del Censis alla mano, risulta che le madri non sono più protettive come erano anni fa perché stressate dal lavoro in casa e fuori. Il tempo attuale ammette la buona crescita di un figlio prescindendo dalla presenza o meno di entrambi i genitori; ma se, nella maggior parte dei casi, sono entrambi al fianco del figlio non è lecito evitare un coinvolgimento con la propria creatura anteponendogli impegni lavorativi, vita privata o affari personali. Un altro punto a sfavore dei genitori nella società odierna è l'insfatabile mito degli italiani mammoni, famoso in tutto il mondo. Benché sia celebre da molto tempo (a questo fatto, infatti, sono stati dedicati canzoni e film) questo fenomeno è aumentato sempre di più negli ultimi anni: dai sondaggi dell'ISTAT risulta che il 38% dei figli vive in casa con i genitori almeno fino ai 28 anni. Questo atteggiamento, considerato da molti una soluzione sbagliata, incoraggia i figli a un'adolescenza a "lunga conservazione" e i genitori a un'estenuante tutela inutile e dannosa per se stessi e gli altri. Speriamo che la società amica-nemica dei giovani li aiuti a crescere nella speranza che un giorno possano essere ottimi genitori; ma prima di tutto auguriamoci che siano le loro mamme e i loro papà ad imparare a diventare grandi prima di loro.

http://doc.studenti.it/vedi_tutto/index.php?h=56be38b5

3 commenti:

  1. I sondaggi dell'ISTAT sono estremamente preoccupanti, perchè secondo me arriva sempre quel momento della vita in cui bisogna 'abbandonare' il nido per acquistare la propria autonomia, senza più dover dipendere da mamma e papà.

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  2. E' proprio vero.. I tempi sono cambiati e con essi anche i modi di educare i figli.. Spesso anche a causa del lavoro capita che vengano trascurati e non riescano a ricevere gli aiuti necessari da una persona matura che dovrebbe rappresentare un punto di riferimento fermo..

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  3. A proposito di "restare in famiglia" fino ad età piuttosto "avanzata", che equivale a rinviare la conquista di una vera autonomia, il corriere della sera di ieri, 9 febbraio, riporta che ben il 60% (che arriva fino al 68% nel sud Italia) degli under 35 single vive ancora con i genitori:

    http://www.corriere.it/economia/14_febbraio_09/60percento-single-under-35-vive-ancora-coi-genitori-e8e4281e-9184-11e3-a092-3731e90fe7ac.shtml

    Questa è purtroppo la conseguenza della mancanza e della precarietà del lavoro giovanile nel nostro paese. Nell'articolo mi colpisce anche la sottolineatura che si cerca di responsabilizzare i figli solo sul versante pratico ed economico, mentre sarebbe auspicabile anche indurli a riflettere sulle conseguenze della loro condotta nei confronti degli altri e della società. In ogni caso i figli, come tutti, non imparano dalle prediche ma dall'esempio.

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