(Tommaso Moro coniò il termine "utopia", con cui battezzò un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, L'Utopia, pubblicata nel 1516).
Da:
http://www.giuseppetomai.com/articolo/7/-i-giovani-tra-malessere-e-utopia.html
Di seguito propongo alcune suggestioni-considerazioni che nascono dalla mia esperienza professionale, soprattutto nei servizi sociali, a contatto con famiglie, individui, e bambini fortemente problematici dove il disagio si avverte, subito, si sente sulla pelle, disagio che è difficile, spesso, solo guardare in faccia perché ferisce, violenta la tua anima e la taglia come una lama affilata lasciandoti senza fiato. Una prima considerazione è quella intorno ad una serie di fenomeni che vanno gradualmente aumentando nella società : l’aumento considerevole dei fenomeni di dipendenza con comportamenti compulsivi; alcool, droghe, cibo, psicofarmaci, gioco, sesso, internet, cellulare. Vere patologie che vanno dal senso di estraniamento, dalla scissione di personalità ad elementi di mancato contatto con la realtà fino a sindromi depressive e un forte aumento dei tentati suicidi nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni. Ci sono circa 45.000 ricoverati l’anno solo in Italia per tentati suicidi veri e propri (fascia 15-24 anni) e 360 suicidi, escludendo la mortalità per incidenti stradali di giovani che sembrano essere i ¾ dei morti per cause varie. Sono dati che ci devono far riflettere, come l’aumento considerevole delle anoressie: pensate che pochi anni fa, in un anno, fra maggio e luglio, ci sono stati a Firenze e provincia ben cinque convegni sull’anoressia, convegni clinici in cui la stessa Palazzoli Selvini ( psicoterapeuta della famiglia ) per la prima volta, credo, si è espressa nei confronti dell'anoressia-bulimia come di una vera e propria epidemia sociale; sono queste parole molto significative, tanto più se dette da una professionista che da anni si occupa della relazione familiare. Recalcati, psicanalista milanese, ci ha fatto sapere delle continue e numerose richieste di aiuto che vengono in questa direzione dalle famiglie e dagli individui, tanto che si comincia per la prima volta a pensare proprio a delle comunità terapeutiche per anoressiche. Sappiamo che diminuisce sempre di più l’età di insorgenza del sintomo (12-13 anni) e che l’anoressia coinvolge anche il sesso maschile ( incidenza che prima era più nascosta o comunque, meno rilevante). L’altro fenomeno di notevole diffusione sociale è la tendenza ad esercitare giochi e sport estremi in cui si rischia la vita: ad esempio il gioco dello scatolone sembra cominci ad essere abbastanza diffuso; consiste nel mettere uno scatolone in mezzo alla strada, il ragazzo è dentro e sfida, lì, per qualche minuto, le macchine che passano e sente le frenate che arrivano; è lì a sfidare la morte. Giochi che appartengono al genere dell’“etica dell’incoscienza” ( “Q come Caos” è un libro che evidenzia alcune tendenze attuali della gioventù, ed individua nella sociopatia, uno stile di vita, una modalità di convivenza). Vi cito alcuni passi del libro che mi sembrano interessanti : “ nella società dello spettacolo cresce una serena indifferenza verso tutte le relazioni sociali e si affermano forze completamente nuove,è il momento della rivolta dei sociopatici pronti a gettarsi con assurdo ottimismo nella mischia delle relazioni interpersonali. Vivono fino in fondo il culto dell’ego con una mentalità senza scrupoli, ovvero il fattore Q. Sono scampati a tutte le regole sociali e si sono lasciati alle spalle gli ultimi residui della morale” . Nel romanzo “Blue Bell” lo scrittore americano descrive con precisione il sociopatico: è uno che segue solo i propri pensieri, procede per la sua strada, avverte solo il proprio dolore, afferma “non è forse questa la via giusta per sopravvivere in questo letamaio? Aspetta il tuo momento, abbassa la visiera, non lasciare che ti leggano nel cuore”. Questa indifferenza esageratamente egocentrica abbinata alla rinascita del concetto di predestinazione dà luogo al più potente esplosivo sociale del nostro tempo. Sembra che sempre di più nelle relazioni interpersonali ci sia una tendenza sociopatica che denota una forte immaturità affettiva, cioè, c’è una grande difficoltà a reggere, tollerare le frustrazioni e ad esprimere la nostra interiorità nella relazione. E’ quello che Goleman chiama l’analfabetismo emotivo e che Galimberti nel suo bel libro, “L’ospite inquietante”, lo assume a motivo di base di tante tragedie quotidiane e afferma che “Quel che si può avvertire in questo periodo caratterizzato da sovrabbondanza di stimoli esterni e carenza di comunicazione sono i primi segnali di quell’indifferenza emotiva , oggi sempre più diffusa, per effetto della quale non si ha risonanza emozionale di fronte i fatti a cui si assiste o a gesti che si compiono. E tutto ciò perchè? Perché manca un’educazione emotiva: dapprima in famiglia, dove i giovanissimi trascorrono il loro tempo in quella tranquilla solitudine con le chiavi di casa in tasca e la televisione come baby-sitter, e poi a scuola quando, sotto gli occhi molto spesso appannati dei professori, ascoltano parole inincidenti, che fanno riferimento ad una cultura troppo lontana da ciò che la televisione ha loro offerto come base di reazione emozionale.” Negli incontri con insegnanti e genitori emerge sempre di più questa difficoltà, questa empasse che si manifesta nel non sapere, non conoscere, nel trovarsi impreparati di fronte ad un mondo interiore giovanile che emerge e a cui è difficile dare voce. “L’Altro” viene recepito e incontrato in un sorta di apatia morale, cioè in una mancanza di spinta ideale, politica (in senso lato) e di responsabilità nelle relazioni sociali, nella indifferenza e nella falsità; a questo si possono aggiungere spesso anche condotte antisociali piuttosto marcate o comportamenti compulsivi. Credo che sia importante guardare in faccia la realtà, le tendenze della società attuale e da questo cominciare a prenderne coscienza, a prenderne atto, a cercare di comprendere sempre più profondamente dove stiamo andando, di interrogarsi sull’atteggiamento comune che favorisce e che costruisce questo tipo di tendenza psicopatica. Credo sia importante cercare di capire il significato di questi segnali, di questo collasso della comunicazione sociale e interpersonale che, spesso, avvertiamo nelle relazioni, accompagnato da una evidente incapacità a stabilire relazioni significative e profonde. Il malessere giovanile è una sorta di protesta sociale, un allarme rispetto alle idee dominanti in cui prevale la solitudine individualistica e il vuoto di valori . Allora, mi sembra che questi segni siano il tentativo di rispondere al vuoto esistenziale che si trova nell’Altro sociale; un tentativo (fallito) di risposta ad un individualismo in cui siamo oggetti spinti a consumare in una prospettiva di godimento totale e immediato. Un godimento, spesso, autistico realizzato attraverso un’affabulazione fuori dalla portata del codice linguistico e della parola che ci unisce, un godimento senza parole, pragmatico e strumentale. L’individuo è immerso in un orizzonte strumentale e tecnico, in cui il massimo valore sono i costi/benefici, non solo nel settore aziendale ma anche nei servizi socio-sanitari, e si trova anche in famiglia, dove i dialoghi vertono sempre di più sulle entrate e le uscite, dove si crede sempre di più che la felicità è in riferimento al conto in banca. Ma ci meravigliamo di tutto questo? Come possiamo? La globalizzazione ( insieme a cose positive ) ha prodotto una nuova religione in cui è venerato un solo Dio, il Dio Denaro. Il motto è “averlo con ogni mezzo” , anche a costo di sfruttare e ingannare gli individui, violentare e derubare la natura, e quindi, addio ad empatia e solidarietà, valori ormai antiquati, retaggio di un mondo romantico ed idealista. “Le corporation al giorno d’oggi controllano le nostre vite: decidono cosa mangiamo, cosa vediamo,cosa indossiamo, dove lavoriamo e cosa facciamo. Siamo inesorabilmente circondati dalla loro cultura, dalla loro iconografia e dalla loro ideologia. E, alla stregua della chiesa e della monarchia in epoche passate, si ergono infallibili e onnipotenti, autocelebrandosi attraverso edifici imponenti e raffinati apparati simbolici. Le corporation esercitano un’ influenza sempre più estesa sulle decisioni delle autorità preposte alla loro vigilanza e controllano settori della società un tempo saldamente in mano pubblica”. E il controllo-persuasione arriva a modificare le nostre emozioni, perché i nostri vissuti possono essere educati dalla pervasività degli stimoli esterni. Questo pragmatismo della felicità sta riducendo la spinta ideale, la spinta di fede, sta togliendo sempre più valore ai valori, a quella valorizzazione dell’individuo, a quella biodiversità così tanto sbandierata come conquista di questa società. Senza un universo condiviso con l’altro, senza un riconoscimento da parte degli altri della mia esistenza, senza un ponte affettivo che collega il mio universo individuale all’universo sociale, in me, si forma un grande smarrimento, una sensazione di insignificanza del pensiero e dell’agire. Sempre di più ci sono individui che entrano in psicoterapia senza sintomi specifici (ossessioni, fobie, etc.) ma che affermano di sentire “ una grande insoddisfazione dentro”, di non sapere che senso dare a quello che fanno e affermare “ si, ho tutto ma a che cosa mi serve?”. Si avverte processi di demotivazione, disincanto, cinismo in cui la relazione sociale diventa un transito di una relazione “produttiva”. Se l’humus in si svolgono le nostre relazione è fatto di questo materiale è difficile realizzare quello che affermava Nietzsche, “diventa ciò che sei”. Senza una relazione, senza una idealità, senza una fede, che ci accomuna diventa una frase muta, una frase inquietante. Ci manca la cornice condivisa per ricordare il nostro vero sé, ci manca l’utopia. Utopia è una parola che è stata maltrattata molto in questi ultimi tempi, è stata negativizzata e relegata tra la roba vecchia. Chi si fa portatore di un’utopia è additato come nostalgico, come qualcuno che vuole portare in scena l’irrealizzabile, qualcuno che è fuori dalla realtà. Io credo che l’utopia (non come modello rigido codificato a priori) sia un sostegno antropologico a questa maledetta fatica del vivere quotidiano. Utopia è la spinta ideale verso il raggiungimento di mondi in cui regnano qualità dell’essere come solidarietà, gioia, coraggio, gratitudine, umiltà…Utopia è quella passione giovanile che si trova in tanti giovani, giovani che protestano, giovani che fanno volontariato, giovani che non si arrendono al non senso di questa vita e ci ricordano che possiamo sperare in un mondo migliore. Sergio Moravia (filosofo) afferma che “alla fine del secondo millennio ci troviamo deboli, confusi, legati a principi etico-culturali superati o più semplicemente errati, sottovalutiamo i sentimenti, ci vergogniamo delle lacrime, trascuriamo le relazioni umane, identifichiamo il benessere con il mero successo materiale, sempre meno sensibili alla sofferenza altrui, siamo sempre più impotenti dinanzi alla sofferenza che ci portiamo dentro noi stessi; non sappiamo neanche in cosa consista la felicità, tant’è vero che la confondiamo con l’euforia e la momentanea contentezza, o addirittura, non ne parliamo più. Come non parliamo più di progetto, utopia, emancipazione, speranza e fede”. Sono la speranza, la progettualità e l’idealità che, credo, possono farci sognare e creare una comunità solidale per avviare un percorso di lotta socio-politica in grado di risvegliare la coscienza e avviare percorsi di crescita umana, sociale e spirituale. Per noi psicologi è tempo di uscire dagli studi e dagli ambulatori per condividere emozioni e progettare sogni, come dice Emily Dickinson, in “ quel procedere incerto tra mare e cielo che chiamiamo esperienza” ; altrimenti ci ritroviamo con strumenti relazionali poveri e inadeguati, allevati da baby-sii.tter virtuali, in una realtà sempre più omologata e controllata dai sogni che ci sono dietro i prodotti