Prefazione: I giovani sono nati contemporaneamente alla globalizzazione e dovranno raccogliere un certo numero di sfide. Questo sistema mondiale stabilito dai loro predecessori in risposta a certi problemi, soprattutto economici, deve permettere a ciascuno di trovarsi un posto. Come fare in modo che i giovani combinino efficacemente con gli ingranaggi di questo sistema? Questo articolo solleva alcune di queste sfide facendo appello alla responsabilità degli adulti per accompagnarli.
Interrogare i giovani sul concetto della globalizzazione è come chiedere ad essi di confrontare diversi sistemi socioeconomici quando conoscono solo quello. In effetti, la globalizzazione è stata istituita da adulti attivi o pensionati. Essa trae le proprie origini dalle questioni economiche e sociali che hanno portato alla crisi e alle ristrutturazioni in seguito alle lotte tra i datori di lavoro e i loro dipendenti sindacalizzati. Questi scontri si basano sulla redditività e produttività in un periodo di alta tecnologia di cui alcune aziende non vogliono più farsi carico da sole, in particolare nel mondo occidentale. Oggi, la globalizzazione permette ai dirigenti di trasferire tutta o una parte della loro impresa nei paesi in cui la mano d’opera è a buon mercato e i costi di produzione sono minimi.
I giovani subiscono pertanto la globalizzazione nel suo aspetto economico e sociale, ma essi sono stati sufficientemente informati su queste implicazioni per sapere come adattarvisi? Le imprese e le istituzioni scolastiche hanno saputo prepararsi per aiutare i giovani a vivere in questo contesto? Quando è stato deciso di mettere in opera questo sistema, si vedevano solo i vantaggi. Spesso, quando si stabiliscono nuove regole in una società, si vede solo il bene che possono fare, senza preoccuparsi delle conseguenze che possono anche causare. I giovani sanno che la globalizzazione è oggi rimessa in questione per molteplici ragioni? Questo sistema economico mondiale non ha a che vedere con il senso della moralità e dell’etica. Quando si utilizza il profitto e la produttività al minimo costo come base di funzionamento, l’etica e la moralità si trovano a mille miglia di distanza dal concetto economico. Sono molte le voci che hanno espresso la necessità di umanizzare la globalizzazione, ma questo obiettivo è realizzabile? In realtà, questo concetto è stato istituito per contrastare l’ambizione smisurata del dipendente, per neutralizzare il potere dei sindacati e per rimettere in questione il crescente benessere dei lavoratori che, nei paesi occidentali, guadagnano dei buoni stipendi. Ciò ha infastidito i capi d’impresa, gli uomini d’affari e più esattamente gli azionisti. La loro avidità li ha resi sordi agli appelli di coloro che presagivano le conseguenze di questo andamento nelle società che, benché attualmente privilegiate, subiranno a lungo termine uno sfortunato contraccolpo.
Le sfide da raccogliere
UNA PRIMA SFIDA: QUELLA DELLA COMPETENZA
Di fronte alla globalizzazione, molte sono le sfide che incombono sui giovani. La prima, quella della competenza, rientra nella forte concorrenza sullo scacchiere mondiale. Bisogna pensare che un ingegnere che lavora in India costa meno al suo datore di lavoro che se lavorasse in America Settentrionale. Un medico che esercita la sua professione negli Stati Uniti potrà difficilmente guadagnarsi da vivere nei paesi in via di sviluppo, perché il suo modo di vivere e di lavorare non è conforme agli standard di quei paesi e le sue richieste salariali sono molto più elevate. Al contrario, data la loro attuale situazione economica, un indiano, un africano e un cinese hanno meno esigenze e costano di meno ai datori di lavoro. Di conseguenza, i giovani dell’America Settentrionale e dell’Europa devono diventare non solo competenti, ma altrettanto pronti ad agire per fare valere le loro qualità personali di leadership, la loro perspicacia nonché le loro capacità e competenze.
UNA SECONDA SFIDA:MODERARE IL DESIDERIO DI POSSEDERE TUTTO
Una seconda sfida li attende: quella di moderare il loro desiderio eccessivo di possedere tutto. In una società dell’abbondanza come la nostra, occorrerà diminuire alcune esigenze allo scopo di attenuare i costi necessari al mantenimento dei programmi sociali attuali. I giovani dovranno stabilire norme di vita che li porteranno ad emanciparsi, a sostenersi e a diventare cittadini responsabili. La globalizzazione elimina poco a poco lo Stato assistenziale, non solo per mancanza di mezzi, ma soprattutto per strategie. Muove una certa ricchezza dai paesi occidentali verso altri paesi. Un cambiamento importante ha luogo. Come sottolinea Blinder (2007), la nuova rivoluzione industriale con la tecnologia rischia di causare l’esodo di circa 40 milioni di posti di lavoro americani semplicemente nel corso dei prossimi 10 o 20 anni; questo rappresenta il doppio del numero attuale di lavoratori del settore manifatturiero. La precarietà dell’impiego che colpisce questi ultimi non è che la punta dell’iceberg. Questa situazione evidenzia che le sfide non dipendono unicamente da un problema strutturale, ma anche dalle scelte future della società. Anche se la globalizzazione è rimessa in questione, è attualmente integrata in un sistema e coloro che vi sono impegnati non cambieranno le loro azioni ed i loro comportamenti da un giorno all’altro.
Occorre quindi incoraggiare i giovani a mettere in questione la globalizzazione e a creare un mondo nuovo che saprà rispondere ad una redditività e ad una produttività corrispondenti all’interesse nazionale combinando i bisogni dei lavoratori con quelli dell’impresa. Oggi, i conflitti nell’impresa sono chiari: l’imprenditore non ne vuole più sapere del lavoratore esigente e troppo interessato al guadagno; lo vuole dominare, anzi neutralizzare. Questo disegno economico che consiste nel limitare gli stipendi e nel mantenere una produttività più elevata è già in essere e resterà. A titolo di esempio, a livello globale, le richieste salariali in corso dei lavoratori sudcoreani riducono la redditività aziendale. È anche il caso del Nord Africa, dove i lavoratori sono meno redditizi di quelli della Cina a causa dell’adeguamento degli stipendi dei nordafricani al costo della vita. Profonde trasformazioni avvengono nel mondo del lavoro. I dirigenti delle imprese, ma soprattutto gli azionisti, si stanno muovendo in luoghi dove possono guadagnare di più, ma riflettono poco sulla portata della loro decisione. Se, alla fine, 40 milioni di posti di lavoro sono eliminati soltanto negli Stati Uniti, che ne sarà nel resto del mondo? Quali saranno le conseguenze di queste perdite di posti di lavoro? Ci saranno forse gravi conflitti nelle società moderne che non avranno più i mezzi per rispondere alle necessità delle loro popolazioni? I popoli esprimeranno il desiderio di chiudere le frontiere del loro paese per proteggersi?
Samuelson (2004), Premio Nobel, rimprovera gli economisti per le loro presunzioni semplicistiche nei riguardi della globalizzazione e ritiene che i lavoratori dei paesi ricchi non siano sempre favoriti dal commercio. Questa osservazione ha stupito molti. Summers (2006), ardente difensore dell’espansione commerciale quando era Segretario del Tesoro sotto l’amministrazione Clinton, ha detto che, coloro che sostengono che la globalizzazione è inevitabile e che il riciclaggio è sufficiente ad aiutare i lavoratori dipendenti dislocati, offrono una ben piccola consolazione alla classe media mondiale molto preoccupata. I giovani devono dunque prepararsi ad un nuovo modo di vedere la globalizzazione e, allo stesso tempo, essere capaci di vivere all’interno di questo sistema e di ritagliarsi un posto. Ciò esigerà un grande sforzo di responsabilizzazione. Inoltre, con la popolazione che invecchia, la base fiscale diventa sempre più limitata. I giovani devono rinunciare a questa idea di una società degli hobbies inculcata loro sin dagli anni 1970. Non si possono più offrire posti di lavoro nemmeno a bassa retribuzione nelle fabbriche, dato che queste si spostano in altri paesi. Per poter essere concorrenziali, persino le industrie ad alta tecnologia devono assicurarsi che il loro prodotto non costi troppo. Questo obbligherà i giovani a rendere sempre di più, ma anche a ridurre il loro desiderio di usufruire di una società degli hobbies – del tempo libero – destinata a scomparire, e con essa la settimana di 35 ore. L’agiatezza tale come la si concepiva oltre 30 anni fa è superata. Oggi, i valori da promuovere sono il senso della responsabilità e il senso del lavoro per ritagliarsi un posto nelle società occidentali d’America Settentrionale e d’Europa.
UNA TERZA SFIDA: AMARE IL PROPRIO LAVORO E NON DISPREZZARE NESSUN GENERE DI LAVORO
Una terza sfida da raccogliere per i giovani sarà quella di amare il loro lavoro, poco importa la categoria, a condizione che esso risponda ai bisogni della società nella quale vivono. Qualunque posto di lavoro dovrà essere valorizzato, sia esso lavoro di fabbrica, manuale, intellettuale o di alta tecnologia. Ogni essere umano merita il rispetto e la considerazione per il lavoro che fa, ma anche per quello che è. I giovani devono essere onesti, empatici, avere il senso dell’etica ma anche l’amore della nazione e dell’essere umano. Occorre evitare che aderiscano all’idea che la plus-valenza prenderà posto nei paesi ricchi e che il resto del lavoro sarà inviato nei paesi in via di sviluppo. Questo pensiero è sprezzante e degradante per i popoli che non hanno avuto la possibilità d’avanzare tecnologicamente o economicamente. Questa sfida riguarda anche il rispetto dell’individuo e dei diritti della persona. Non è sufficiente però avere solo diritti, bisogna anche farli rispettare. Certamente, sia che si tratti di uno spazzino, di un edile o di un ingegnere, la loro posizione sociale e la loro responsabilità sono diverse, ma l’emozione che si prova in quanto esseri umani è la stessa quando si è disprezzati, umiliati o frustrati. Per i giovani questa sfida è la più complessa e la più difficile da affrontare perché essa esige un cambiamento di mentalità, in particolare riguardo al disprezzo per i più deboli o i più poveri.
LE ALTRE SFIDE
Le altre sfide sono molteplici. Pensare all’uguaglianza ed applicare questo principio sono due realtà diverse. La parità attuale tra i popoli attraverso la globalizzazione, deriva dal trasferimento delle risorse umane. Degli immigrati vivono qui in Canada e gente di qua va a vivere altrove. Per favorire e valorizzare gli scambi commerciali, la globalizzazione ha eliminato le frontiere. Ma per gli esseri umani, le frontiere si aprono molto più lentamente. In occidente, l’immigrazione non è accettata con generosità. La diminuzione delle nascite forza i popoli più ricchi a compensare il rinnovo limitato della loro popolazione. Se anche le generazioni di immigrati che arrivano non hanno tutte le competenze degli occidentali, i loro figli però le avranno. Sarebbe sbagliato riprodurre in America Settentrionale i problemi come quelli che conosce, ad esempio, la Francia: i bambini francesi di origine araba chiamati ‘beurs’ hanno dentro di sé una grande rabbia, perché anch’essi hanno diritto ad un loro posto.
Convivere, imparare a vivere insieme e rispettare ogni persona sono ulteriori sfide per i giovani. Ma la più grande tra le sfide è quella dell’ambiente. Purtroppo i giovani ereditano un pianeta inquinato. Come sanarlo e sviluppare energie pulite? Questo lavoro richiede intelligenza, precauzione, competenza e ingegnosità per portare idee nuove ed utili al benessere di tutti. Come cessare di gettare i rifiuti dai paesi più ricchi ai più poveri? Come smettere di spostare l’inquinamento atmosferico degli uni agli altri?
Il sistema della globalizzazione è stato stabilito dagli adulti per regolare conflitti durante il decennio 1960-70. Ecco perché non si può lasciare i giovani a se stessi e credere che sapranno cavarsela da soli. I programmi di istruzione dovranno essere rivisti al più presto per dare ai giovani l’opportunità di avere una formazione polivalente. Oltre al conseguimento di un diploma e delle conoscenze tecnologiche, bisognerà anche permettere loro di disporre di un’identità forte, di carisma, di varie competenze e di leadeship. Ciò è valido per tutti i giovani, ma specialmente per quelli che diventeranno dirigenti e che faranno parte delle istanze decisionali nel sistema della plusvalenza che non sarà sufficiente nei paesi occidentali, dal momento che anche in altre parti del mondo un recupero sarà stato fatto in questo settore.
In quanto ai piani dello sviluppo economico, della tecnologia e della qualità del lavoro, i nordamericani e gli europei non possono più sperare di preservare le professioni cosiddette superiori e credere che solo i lavori dei settori industriali o manifatturieri andranno verso i paesi economicamente meno sviluppati. Questo spostamento dei posti di lavoro prenderà 10 o 15 anni? All’inizio si era creduto che la Cina sarebbe stato un paese economicamente importante verso l’anno 2030. Eppure nel 2009 si deve già contare su di essa. È impossibile predire come sarà l’economia tra 30 o 50 anni. La situazione cambia da un anno all’altro. Bisogna dunque avere l’intelligenza di non disprezzare nessun genere di lavoro.
Senza la collaborazione e il sostegno degli adulti e senza la presa di coscienza dei mass media come partner a pieno titolo del benessere sociale, avremo delle difficoltà a raggiungere questi obiettivi, anche se proprio i giovani stessi vogliono raccogliere le sfide. Dobbiamo lavorare insieme, sostenere i giovani e dar loro tutte le opportunità affinché realizzino il loro avvenire. Allora soltanto potremo dire “missione compiuta”, poiché l’ urgenza è di sapere preparare un futuro di qualità per i giovani. Ciò sarà innanzitutto un sacrificio da parte degli adulti che, riconosciamolo, tendono piuttosto all’egoismo e al mantenimento dei loro privilegi e della loro sicurezza.∎
Una sfida dalla "terra dei fuochi"