Il gigante si inchina,
il soffitto lo schiaccia,
si allontana l'orgoglio,
risorge il coraggio.
Mille ostacoli,
mille paure,
mille dolori,
mille lutti,
mille volti che abbassano gli occhi.
I burroni diventano valli,
i fantasmi si sciolgono al sole,
il dolore abbandona il lamento,
il lutto diventa memoria,
ogni volto è dietro un sorriso.
La mente performa,
la memoria scala montagne,
alte, ripide, ruvide,
il ricordo si fa esperienza,
i sussurri diventano campane.
Resisto,
mi avvolgo nell'acqua,
soffio sull'aria,
carezzo i polpastrelli.
Resisto...
e vivo.
mercoledì 30 aprile 2014
Resilienza
Resilienza
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-107016>
martedì 29 aprile 2014
BISOGNO DI PASSIONE
L'abbraccio - G. Klimt |
Ho bisogno di amore
Di amore intorno a me
Amore che mi avvolge e mi travolge
Ho bisogno di braccia che mi abbraccino
Di braccia che mi stringano
Braccia che mi scaldino
Ho bisogno di ardere
Di ardere di passione
Ardere nel corpo e nell’anima
Ho bisogno di sensazioni
Di sensazioni forti
Sensazioni che mi fanno sentire viva.
Ho bisogno di sentirmi apprezzata
Di sentirmi desiderata
Sentirmi femmina.
Ho bisogno
Di
Te
http://digilander.libero.it/Silvya_c/passione.htmlunedì 28 aprile 2014
Solo con la forza d'animo ci liberiamo dalle ossessioni
Cos'è la forza d'animo? Vi sono delle persone che sono sopravvissute per decenni in orribili celle senza luce, altre nell'incubo dei gulag sovietici e dei campi di sterminio hitleriani. Altre, invece, appena imprigionate crollano, si ammalano perché cedono le loro difese immunitarie, ed alcune arrivano al suicidio. E ciò che abbiamo detto per la prigionia vale per ogni altro grande trauma, perdita, dolore.
Io credo che nel nostro animo si scontrino due forze. La prima è lo slancio vitale, il desiderio di vivere, di affermarsi, di lottare. Essa ci spinge verso il futuro, ci fa cercare sempre delle soluzioni alternative. L'altra, invece, è lo sconforto che ci spinge alla resa. Essa blocca il nostro desiderio di vivere e di agire, inchioda la nostra mente sul presente, le impedisce di immaginare alternative e di sfuggire alla sua ossessione.
Lo sconforto è una droga, una terribile lusinga, una pericolosa seduzione. Nel film di Kurosawa, «Sogni», due soldati vengono sorpresi da una tormenta di neve. Ad un certo punto appare loro una donna bellissima che li accoglie fra le sue braccia amorose. Sono tentati di abbandonarsi. Poi capiscono che quella donna è la tormenta stessa, che promette loro la pace della morte. Allora la scacciano, si coprono e, con la luce del mattino, si accorgono di essere accanto al loro accampamento. Il racconto ci dice che bisogna lottare contro la tentazione.
Ma come? Osservando coloro che sanno resistervi ho capito che vince chi riesce a gettarsi in un'attività impegnativa che distoglie la sua mente dall'ossessione. Alcuni prigionieri si sono dedicati ad addestrare un topo, un ragno. Preferisco, però, ricordare una ragazza che, dopo il fallimento del suo primo amore, si è lanciata in una vita piena di rischio e di avventura e ha avuto un grande successo. E alcune persone di genio che, dopo la catastrofe hanno reagito creando, percorrendo strade nuove. Machiavelli, costretto all'esilio, ha scritto le sue opere più importanti e Nietzsche, lasciato da Lou Salomé, ha scritto "Così parlò Zarathustra".
Ma ci sono certo altre strade, come cambiare lavoro, iniziare una nuova attività o dedicarsi al volontariato. La chiave è sempre la stessa, evitare l'ossessione, cercare il diverso e incanalarvi tutte le nostre energie vitali. Vi riesce bene chi ha un ideale, una grande meta come Nelson Mandela che, nei ventisette anni di prigione, ha sempre lottato per la libertà del suo popolo.
La resilienza psicologica: una forza che nasce dalla sofferenza
Il filosofo Khalil Gibran ha scritto: “Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”
"Non abbandonarti alla disperazione", disse l'Alchimista, con una voce stranamente dolce. "Altrimenti non riuscirai a parlare con il tuo cuore".
"Ma io non so trasformarmi in vento". "
"Chi vive la propria Leggenda Personale conosce tutto ciò che ha bisogno di conoscere. Soltanto una cosa rende impossibile un sogno: la paura di fallire".La morte di un caro, la perdita del lavoro, una malattia grave sono esperienze di vita che mettono a dura prova l’equilibrio psicologico della persona: emozioni forti e un senso di profonda inquietudine ed incertezza prendono il sopravvento e la persona potrebbe sentirsi come un “puzzle che va in pezzi”. Difficile leggere l’evento, collocarlo nella giusta prospettiva, attribuire responsabilità e onori: tutto sembra nebuloso, il tempo scorre dettato dallo stato d’animo e le cose acquistano un sapore diverso. Alcuni si adattano presto, altri richiedono un processo più laborioso e faticoso: ma da cosa deriva questa differente capacità di resistere agli “urti” della vita? O meglio, perché ci sono individui più o meno resilienti?
La resilienza, termine derivato dalla scienza dei materiali e indicante la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione, in psicologia connota proprio la capacità delle persone di far fronte agli eventi stressanti o traumatici e di riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà. Non è quindi solo capacità di resistere, ma anche di “ricostruire”la propria dimensione, il proprio percorso di vita, trovando una nuova chiave di lettura di sé, degli altri e del mondo, scoprendo una nuova forza per superare le avversità. Si tratta di un processo dunque individuale, ovvero che si costruisce nella persona in base alla personalità, ai modelli di attaccamento e agli eventi di vita e pertanto si verifica in modo differente in ognuno di noi. Molto spesso, infatti può capitare che, quando una persona che conosciamo si trova ad affrontare un evento particolarmente stressante, pensiamo “Io al suo posto non sarei riuscita a sopportarlo!”; tuttavia, come detto, questo dipende dalle nostre esperienze, dai nostri apprendimenti, dalla nostra personalità e pertanto filtriamo ed elaboriamo gli eventi e i loro significati in modo differente, reagendovi e integrandoli nella memoria in modo altrettanto differente.
Le persone con un alto livello di resilienza dunque, riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. L’esposizione alle avversità sembra rafforzarle piuttosto che indebolirle. Esse tendenzialmente sono ottimiste, flessibili e creative; sanno lavorare in gruppo e fanno facilmente tesoro delle proprie e delle altrui esperienze.
Ma cosa fa si che un individuo sia più o meno resiliente?
A determinare un alto livello di resilienza contribuiscono diversi fattori, primo fra tutti la presenza all’interno come all’esterno della famiglia di relazioni con persone premurose e solidali. Questo tipo di relazioni crea un clima di amore e di fiducia, e fornisce incoraggiamento e rassicurazione favorendo, così, l’accrescimento del livello di resilienza. Gli altri fattori coinvolti sono:
Kirikù e gli animali selvaggi |
-OTTIMISMO: è la disposizione a cogliere il lato buono delle cose, la tendenza ad aspettarsi un futuro ricco di occasioni positive, la propensione a sminuire le difficoltà della vita, cercando sempre di trovare la soluzione ai problemi.
-AUTOSTIMA: una elevata autostima protegge da sentimenti di ansia e depressione e influenza positivamente lo stato di salute fisica. Si riferisce ad una visione positiva di sè.
-HARDINESS: tratto di personalità che comprende tre dimensioni:
- CONTROLLO: convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante e l’esito degli eventi, mettendo in atto tutte le risorse per affrontare le difficoltà.
- IMPEGNO: definizione e perseguimento di obiettivi.
- SFIDA: visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita.
-EMOZIONI POSITIVE: capacità di sostituire gemiti e lamenti con emozioni positive.
-SUPPORTO SOCIALE: capacità di costruire relazioni eterogenee e molteplici che possano sostenere l’individuo nei momenti difficili.
Le strade che possono portare le persone ad accrescere il proprio livello di resilienza sono numerose.
Nella ricerca della strategia più idonea per migliorare il proprio livello di resilienza può essere d’aiuto focalizzare l’attenzione sulle esperienze del passato cercando di individuare le risorse che rappresentano i punti di forza personali. Un sistema che facilita l’individuazione delle risorse personali è quello di cercare di fornire risposte a queste semplici domande:
- quali eventi sono risultati particolarmente stressanti per me?
- in che maniera questi eventi mi hanno condizionato?
- nei momenti difficili ho trovato utile rivolgermi a persone per me significative?
- nei momenti difficili quanto ho appreso di me stesso e del mio modo d’interagire con gli altri?
- è risultato utile per me fornire assistenza a qualcuno che stava attraversando momenti difficili come quelli da me sperimentati?
- sono stato capace di superare le difficoltà ed, eventualmente, in che modo?
- che cosa mi ha consentito di guardare con maggiore fiducia al mio futuro?
La “resilienza” può quindi essere appresa, sviluppando l’autostima, l’autoefficacia, l’abilità di tollerare le frustrazioni della vita senza lamentarsi, la capacità di risolvere i problemi e di produrre cambiamenti, la speranza, la tenacia, il senso dell’umorismo: La resilienza non è dunque una caratteristica che è presente o assente in un individuo; essa presuppone invece comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque in qualunque circostanza.
Avere un alto livello di resilienza non significa non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vita, avere un alto livello di resilienza non significa essere infallibili ma è resiliente chi è disposto al cambiamento quando necessario, chi è disposto a pensare di poter sbagliare, ma anche chi si dà la possibilità di poter correggere la rotta.
LA FORZA D'ANIMO.
"Tutto ciò che non mi fa morire mi rende più forte".Con queste parole quasi di sfida, riprese da F. Nietzsche, si apre la presentazione del libro “La resilienza. Cos’è e come possiamo insegnarla ai nostri figli”. In questo lavoro l’attenzione è focalizzata su quell’insieme di atteggiamenti e di scelte di vita che il linguaggio comune indica come forza d’animo: quella risorsa che ci permette di superare delusioni, sconfitte, tensioni, lutti e di continuare, più forti, il cammino dell’esistenza. La si può chiamare anche capacità di reagire, riferendosi alle risposte positive che ciascuno di noi mette in atto quando si trova a dover affrontare momenti e passaggi difficili o anche veri e propri traumi.
La «resilienza»: Al processo che regola la forza d’animo si può dare il nome di «resilienza», un termine che in sé descrive la proprietà che hanno i materiali di resistere e di mantenere la propria struttura, di ritrovare la propria forma originaria dopo essere stati pressati; ma il termine «viene normalmente usato nella lingua francese (rèsilience) e in quella inglese (resilience), per indicare un tratto della personalità capace di mobilitare le risorse più profonde dei singoli, dei gruppi e delle comunità. In questo senso l’azione della resilienza può essere paragonata all’azione del sistema immunitario con cui il nostro organismo risponde alle aggressioni dei batteri. Di fronte agli stress e ai colpi della vita, la resilienza dà infatti luogo a risposte flessibili che si adattano alle diverse circostanze ed esigenze del momento». Non è quindi la semplice capacità di resistere alle frustrazioni della vita, ma esprime la voglia di combattere, di non lasciarsi andare, di ricostruire. Nella capacità di resilienza convergono fattori di varia natura: cognitivi, emotivi, familiari, sociali, educativi, esperienziali, che con la loro azione congiunta danno alla persona la forza di affrontare le difficoltà senza perdere la serenità.
Resilienti si nasce o si diventa? Attorno a questa domanda si sviluppa il terzo capitolo che affronta i temi centrali dello sviluppo. Persona resiliente lo si diventa, passo dopo passo, nel corso del processo di crescita, in funzione delle esperienze e degli incontri che facciamo; delle paure e delle frustrazioni che riusciamo a superare; dell’amore che riceviamo e che riusciamo a dare. La resilienza è sempre un processo complesso, il risultato di un percorso; è l’effetto di un’interazione, nel tempo, tra l’individuo e il suo ambiente. È il prodotto quindi di molteplici fattori, in cui rientrano le doti personali, ma anche le relazioni con i familiari a partire dai primi anni di vita, il supporto sociale e la capacità di interiorizzarlo. Per sviluppare e consolidare la resilienza, sono di particolare aiuto, nelle relazioni familiari, la qualità dell’attaccamento; un ambiente rassicurante e capace di sviluppare l’autonomia, la resistenza dell’amore e lo sviluppo da parte del bambino di uno spazio di gioco, d’immaginazione e di pensiero propri che garantiscono, per ciascuno, un potenziale creativo.
L’educatore e la forza d’animo: Spesso ci troviamo ad affrontare per noi stessi e per coloro che accompagniamo o incontriamo per un tratto della nostra strada, situazioni di difficoltà o veri e propri tempi di crisi. Possono essere passaggi personali o esperienze di fatica legate a situazioni, le più diverse, che la vita ci riserva. Alle volte riconosciamo subito il tipo di sfida o di lotta che siamo chiamati ad attraversare, in altre occorre più tempo e più capacità di discernimento. È sempre un’esperienza molto coinvolgente e delicata. Chiede all’educatore rispetto per l’altro, capacità di ascolto profondo, di attenzione, di sapienza nel trovare vie di presenza, ma anche nello stimolare e nel dare fiducia promuovendo passi di rielaborazione personali. Questo testo ci può aiutare ad avere uno sguardo più attento a tutti quei dinamismi relazionali ed educativi che vengono sollecitati, in noi e in chi accompagniamo, in questi tempi e situazioni di "emergenza" e difficoltà. Inoltre la lettura può aiutare proprio noi educatori a rileggere, nella nostra storia, tempi e passaggi difficili, a riconoscerli e ad accettarli come sfida e occasione di crescita e a trovare vie e strategie nuove per ricostruire dentro di noi forza e speranza per ripartire con maggiore solidità e umiltà nell’avventura della vita.
http://www.annaoliverioferraris.it/emozioni-e-benessere/la-forza-danimo-cose-insegnarla-ai-nostri-figli.html
mercoledì 23 aprile 2014
Forza d'animo: Aimee Mullins
Aimee Mullins, attrice, modella, atleta e speaker. Bella, intelligente e brillante, ha fatto della sua disabilità una grande opportunità.
Nata senza osso peroneo, ha subito l’amputazione di entrambe le gambe, fino all’altezza del ginocchio, quando aveva solo un anno. Ma tutto questo non l’ha fermata. E se la più grande avversità che abbiamo creato nelle nostre vite fosse proprio l’idea di normalità?
"... Forse il modello esistente di guardare solo a quello che c'è rotto in te, ... può indebolire il soggetto più che la malattia stessa... dobbiamo vedere attraverso la malattia e dentro l'elenco delle capacità umane... Il fattore X, la potenzialità della volontà umana: nessuna prognosi può tenere in conto di quanto sia poderosa e determinante nella qualità della vita... Allora io credo che la vera disabilità è avere uno spirito danneggiato..."
Distruggere uno spirito, affievolire la speranza, sgonfiare la curiosità, promuovere l’incapacità di vedere bellezza, deprivare l’immaginazione. Rendere miserabili. Contrario: Rendere possibile. |
(Impostate dal tasto in basso a destra la lingua, per avere i sottotitoli in italiano)
"Il Dio che conosce solo 4 (5 in italiano) parole"
"Il Dio che conosce solo 4 (5 in italiano) parole"
Ogni bambino ha conosciuto Dio
Non il Dio dei nomi
Non il Dio dei no
Ma il Dio che solo conosce 4 (5) parole
e continua a ripeterle
dicendo: Vieni a ballare con me.
Hafiz - poeta persiano del 1300
RISORSE SETTE (PRIMA PARTE): SIGNIFICATI E INCANTI
U. Galimberti: L'ospite inquietante pg. 71 |
Ed eccoci approdati a quei significati e a quegli incanti che sono propri della giovinezza, luoghi da abitare, terre da conquistare, tempeste da dominare, fiori da coltivare, tesori da scoprire, emozioni da vivere, sentimenti da costruire, identità da affermare, appartenenze da scegliere: uno sguardo davanti e uno dietro, uno dentro uno fuori, uno al cielo uno alla terra, come Giano dal volto bifronte.
Busto di Giano - Musei Vaticani
Giano, una delle più antiche divinità romane (si riteneva fosse in origine un re, fondatore di una città sul colle Gianicolo) è il dio degli inizi (da cui il nome del mese di Gennaio) e presiede i passaggi, le porte, i ponti. E' rappresentato con un volto bicefalo per vegliare nelle due direzioni, entrata e uscita o per guardare nel presente e nel futuro.
Esploreremo:
Inizieremo dai primi due punti. Dopo le vostre pubblicazioni esploreremo la simbolica giovanile.
|
giovedì 10 aprile 2014
Strage: un ragazzo accoltella i suoi coetanei a scuola.
Ancora un bagno di sangue in una scuola americana: una ventina di studenti di un liceo nei pressi di Pittsburgh, in Pennsylvania, sono stati feriti questa mattina a coltellate da un loro compagno: alcuni versano in condizioni gravi: la loro vita è in pericolo, hanno riferito fonti mediche. L'aggressore è un sedicenne, che è stato infine bloccato e ammanettato da un addetto alla sicurezza della scuola, rimasto a sua volta ferito. Tutto si è svolto poco dopo l'apertura dei cancelli della sua scuola, la Franklin Regional High Schooldi Murrysville, verso le 7.15. Il ragazzo, per motivi ancora da chiarire, ha improvvisamente aggredito come una furia i suoi compagni, usando due coltelli contemporaneamente: li ha rincorsi nei corridoi, davanti agli armadietti, e poi sulle scale, e anche in diverse classi del primo piano. Qualcuno per fortuna ha prontamente fatto suonare l'allarme, e in molti, in preda al panico, sono corsi a cercare riparo. Molti altri non sono però riusciti a nascondersi, e sono stati travolti dalla violenza del sedicenne.
Sono stati attimi di "caos", ha raccontato uno studente rimasto illeso: "c'era sangue dappertutto, all'ingresso, sulle scale e nei corridoi". Tutti i feriti sono di età compresa tra i 14 e 17 anni, tranne l'agente della sicurezza, sulla sessantina. Quattro dei feriti più gravi sono stati trasportati in ospedale in elicottero, e tre sono stati immediatamente sottoposti ad intervento chirurgico. Quelli giudicati in condizioni critiche sono almeno sette. Hanno subito ferite al torace, all'addome o alla schiena.
Si tratta di ferite "serie", ha affermato il dottor Chris Kaufmann del Forbes Regional Hospital, dove alcuni dei feriti sono stati ricoverati. Sono ferite che li mettono "in pericolo di vita", ha detto. Uno di loro, hanno riferito fonti mediche, deve la vita ad una sua compagna, che gli ha tamponato una profonda ferita fino all'arrivo dei soccorsi.
Come normalmente accade in questi casi, il presidente Barack Obama è stato prontamente informato, ha fatto sapere la Casa Bianca. Obama è peraltro oggi in viaggio in Texas per prendere parte assieme alla first lady alla cerimonia funebre in memoria delle vittime della sparatoria avvenuta giorni fa nella base militare di Fort Hood, in cui tre persone sono state uccise e 16 altre ferite da un militare che si è poco dopo ucciso. Una tragedia a cui ieri ne ha fatto seguito una simile, quando nella base di Camp Lejeune, in Nord Carolina, un marine è stato ucciso da un suo commilitone a colpi di fucile.
Tratto da:http://www.ticinonews.ch/estero/197534/strage-in-un-liceo-in-america
mercoledì 9 aprile 2014
Roma: giocano al lancio dei coltelli, muore ragazzo svizzero
Uno studente svizzero di 16 anni e' morto accoltellato al petto mentre giocava con alcuni compagni in un istituto di suore dove sono ospitati per una vacanza nella Capitale. La tragedia e' avvenuta in via di Torre Rossa, nel quartiere Aurelio. Secondo quanto si e' appreso, i ragazzi stavano giocando con un coltello quando accidentalmente il 16enne e' stato colpito al petto. Inutili i soccorsi, il giovane e' morto sul colpo. Sul posto sono intervenuti gli agenti della polizia di Stato per chiarire la vicenda. Si trovavano a Roma per una gita da due giorni i ragazzi, tutti sedicenni, di una scuola svizzera di Losanna, nel cantone francese. La tragedia e' avvenuta ieri sera poco dopo le 23 nell'istituto ricettivo Domus Nascimbeni di via di Torre Rossa.
Sono state le suore dell'istituto a dare l'allarme al 113 e a segnalare quanto avvenuto. I medici del 118 hanno tentato di soccorrere il sedicenne ferito al petto dalla coltellata ma purtroppo e' stato inutile. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori della polizia di Stato intervenuti sul posto, la tragedia sarebbe avvenuta nel corso di un gioco con il coltello fra tre studenti. Uno dei ragazzi avrebbe colpito accidentalmente al petto la vittima.
http://www.agi.it/cronaca/notizie/201404090936-cro-rt10032-roma_gioco_si_trasforma_in_tragezia_16enne_muore_accoltellato
Usa, tre adolescenti sparano per noia: ucciso un 22enne che faceva jogging
Usa, tre adolescenti sparano per noia. (Ap)
Tre ragazzi si sono trasformati in assassini «per gioco, perché annoiati». E' successo in Oklahoma, negli Stati Uniti, dove tre adolescenti di 15, 16 e 17 anni hanno sparato alla schiena di un ragazzo australiano che stava facendo jogging, scelto a caso come obiettivo per provare un po' di divertimento, secondo la ricostruzione della polizia. Christopher Lane, 22 anni, di Melbourne, è stato trovato morto lungo una strada di Duncan, a un'ottantina di chilometri da Oklahoma City. Studente e giocatore di baseball, il ragazzo era da poco tornato negli Stati Uniti dall'Australia, e si trovava a Duncan dalla fidanzata. Mentre correva, nei pressi della casa della ragazza, ha incrociato la macchina con a bordo i tre ragazzi, che lo hanno ucciso con un colpo di pistola.Grazie alle telecamere di sorveglianza e alla telefonata di un testimone, la polizia ha rintracciato l'auto in un parcheggio di una chiesa, con i tre adolescenti ancora a bordo.Chancey Allen Luna, 16 anni, l'autore materiale dell'assassinio, e James Francis Edwards Jr., 15 anni, saranno processati per omicidio di primo grado, e rischiano l'ergastolo, secondo i media locali. Sul terzo, Michael Dewayne Jones, 17 anni, alla guida del veicolo, pendono accuse minori.
Tratto da:http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-21/adolescenti-sparano-noia-ucciso-155838.shtml?uuid=AbOvX9OI&fromSearch
La violenza nei giovani
Negli ultimi vent’anni, i mezzi di comunicazione e gli esperti di psicosociologia si sono interrogati sulla violenza dei giovani e in particolare sul loro modo di essere violenti. Le cause di questi comportamenti spesso eccessivi sfuggono agli esperti. Bisogna dire che le reazioni dei giovani che aggrediscono le persone senza ragione apparente, abbandonandole talvolta morenti, lasciano chiunque allibito e smarrito. È vero che la violenza è un atto inconsulto, anzi quasi primitivo. Presumibilmente, in nome della sicurezza si genera nuova violenza. Quando degli esseri umani sono sottoposti ad angherie nei loro diritti alla giustizia ed alla libertà, finiscono, presto o tardi, per manifestare la loro ostilità. Quest’ultima può arrivare a tradursi in atti violenti proprio perché tutto viene automaticamente ma apparentemente vietato in nome della sicurezza per ristabilire una certa giustizia sociale, un cosiddetto rispetto reale dell’essere secondo il diritto. In tali circostanze, può verificarsi una deriva dei comportamenti.
Proponiamo un’analisi della violenza attuale per due vie: quella della cosiddetta normalità e quella del senso dell’educazione. Quanto alla violenza riguardo la normalità, esiste un confronto tra una persona debole e un’altra forte o una struttura ingiusta. Alcuni si ribellano contro certe strutture stabilite. Pensiamo al banditismo legato alla povertà, in cui una persona prende ai ricchi per ridare ai poveri. Questo genere di ribellione esiste da sempre. Riguardo l’educazione, una ricerca fatta negli anni ’80 (SROH, 1984), su circa 92 giovani tra gli 11 e i 18 anni, ha permesso di identificare un elemento importante legato all’assenza di senso di colpa di alcuni di questi quando commettono un atto violento. Anche se questa ricerca è stata fatta circa 20 anni fa, le sue conclusioni sono tuttora valide in quanto le manifestazioni di violenza continuano ad aumentare.
“Quindi sembra che la psiche del giovane sia oggi condizionata a vivere la violenza come qualcosa di normale e possiamo perfino affermare che il giovane vive la violenza come una soluzione ai suoi problemi di stress, di insicurezza e di instabilità: la sensazione di sollievo legata alla vendetta e alla liberazione risulta chiaramente dalle nostre interviste, mentre il 64,6% dei giovani riconosce sinceramente, in risposta al questionario, che si vendica quando ritiene di avere subito violenza (p.30).”
Fino ad ora, le scienze mediche inerenti la salute considerano il giovane che non sente il senso di colpa come un essere geneticamente delinquenziale, dunque malato. Non aderisco a questa spiegazione genetica, ma credo piuttosto a una causa psicosociologica. L’assenza di riferimenti e di modelli, vale a dire, un ambiente privo di regole ed una permissività a volte senza limiti non è senza conseguenze. Tutto questo vale ancora oggi.
In questa stessa inchiesta, i risultati delle risposte di 92 genitori e di 40 giovani partecipanti ad un questionario, così come le interviste realizzate con 10 genitori e 10 giovani partecipanti, hanno individuato quattro elementi che possono spiegare la violenza: la permissività dei genitori, il lassismo delle autorità, la perdita del significato dell’educazione e la mancanza di senso di colpa dei giovani di fronte all’atto violento. Quando l’eccessiva permissività porta alla scomparsa dei limiti e alla perdita di coscienza dell’altro, sia nei giovani che negli adulti, diventa difficile sapere dove fermarsi: le condizioni di riconoscimento e di rispetto dell’altro in questi casi perdono il loro significato. Quando l’educatore non è più rispettato, anche la scuola accusa un deficit in termini di credibilità per adempiere alla sua missione. Una tale forma di educazione permissiva priva il giovane di modelli e di mezzi che invece lo aiuterebbero a capire dove può andare e come può agire.
I genitori rimangono, tuttavia, modelli per il figlio. Gli insegnanti ed il personale scolastico mantengono il loro ruolo di socializzazione. La gestione educativa è spesso frenata dal lassismo delle autorità. Non si dovrebbe essere né troppo severi, né troppo autoritari, né troppo punitivi. Si lasciano passare situazioni a volte gravi, ad un punto tale che i giovani hanno perso la nozione di un equilibrato timore e sfidano in modo sfrontato l’autorità. Sia in famiglia che a scuola e nella società, questo particolare modo di sfidare l’autorità è diventato una forma di affermazione d’identità dei giovani. L’inizio di questo comportamento non è recente, è da quasi trent’anni che si viene tessendo nei costumi. Anche i tribunali danno prova di lassismo nel loro approccio, perdonando o arrivando a giustificare perfino certi atti violenti.
domenica 6 aprile 2014
Da impulso a emozione ed infine a sentimento: le mappe emotive
I sentimenti si apprendono culturalmente e precocemente, non sono una dote naturale.Le mappe emotive si formano nei primi tre anni di vita, una fase delicatissima della vita in cui si "apprende" a "sentire il mondo" e a reagire agli eventi in modo equilibrato, proporzionato. Si tratta di traghettare gli impulsi istintivi, fisiologici e naturali ("che conoscono il gesto") verso le emozioni, attraverso le quali si avverte "risonanza emotiva" rispetto a ciò che si compie o a ciò che si vede; successivamente le emozioni ("viscerali" aggiungerei io) si arricchiscono di una dimensione cognitiva e diventano sentimenti. Nel mondo antico i sentimenti venivano appresi attraverso i miti; oggi i bambini li apprendono attraverso i racconti e le pagine di letteratura.
venerdì 4 aprile 2014
L'educazione emotiva
Educazione emotiva
In mezzo al frastuono assordante di una società troppo veloce e frammentata l’educazione rimane un capolavoro di interazione umana.
Sapersi connettere con i propri figli e sintonizzarsi con loro dipende da quanto tempo e quanto amore vogliamo investire. Ma questo non è né intuitivo né scontato.
Oggi è possibile, grazie anche ai contributi delle neuroscienze e alla straordinaria scoperta dei neuroni specchio, conoscere e utilizzare le migliori strategie con i bambini e gli adolescenti, affinché crescano autonomi e sicuri.
A tale modalità di essere e di stare con i figli abbiamo dato il nome di educazione emotiva.
|
|
Cos'è l'educazione emotiva
Alcune recentissime sperimentazioni e ricerche in ambito psicologico e neurobiologico indicano che l’educazione emotiva rappresenta un vero e proprio vaccino per quei disagi e quei malesseri caratteristici del terzo millennio, con particolare riferimento alle patologie da dipendenza (abuso di sostanze, alcool, anoressia, bulimia, dipendenza da Internet, ecc…), al bullismo e ad altre forme di disadattamento oggi così diffuse.
|
|
A cosa serve l'educazione emotiva
Un'efficace educazione emotiva attiva le connessioni affettive ed emozionali tra genitori e figli utilizzando alcune strategie, tecniche e modalità relazionali, flessibili, versatili e pensate per essere compatibili con i ritmi stressanti e accelerati di oggi.Questo modello educativo permette di gettare le basi necessarie per promuovere condivisione, reciprocità e cooperazione, senza le quali difficilmente le nuove generazioni troverebbero il coraggio e l’ardire di proseguire la Storia.
Tratto da: http://www.educazioneemotiva.it/ |
"GLI ANALFABETI DELLE EMOZIONI"
L'HANNO trovata morta in un cascinale abbandonato, vicino alla sua abitazione. Ancora non sanno se il ragazzo che ieri notte ha confessato il delitto ha agito da solo o insieme ad altri, che per ora restano in quella cupa ombra dove la sessualità si mescola alla violenza, in quel cocktail micidiale che, a dosi massicce, la televisione quotidianamente distribuisce nell'indifferenza generale.
Quel che è certo è che una brava ragazza di 14 anni, che sabato scorso era uscita con le chiavi di casa e il suo cellulare, come fanno tutti i ragazzi della sua età, a casa non tornerà più. Ma come è fatto il mondo fuori casa? Non dico il mondo in generale, ma il mondo di questi ragazzi di cui ieri, in un lucido intervento su Repubblica, Marco Lodoli ha descritto il loro apparato cognitivo in questi termini: "I processi intellettivi più semplici, un'elementare operazione matematica, la comprensione di una favoletta, ma anche il resoconto di un pomeriggio passato con gli amici o della trama di un film, sono diventati compiti sovrumani di fronte ai quali gli adolescenti rimangono a bocca aperta, in silenzio. (...)". Semplicemente non capiscono niente, non riescono a connettere i dati più elementari, a stabilire dei nessi anche minimi tra i fatti che accadono davanti a loro, che accadono a loro stessi".
A questa diagnosi (che posso tranquillamente confermare perché questi stessi ragazzi li ascolto quattro o cinque anni dopo, un po' più evoluti ma non tanto, all'università) resta solo da aggiungere che carenti non sono solo i nessi "cognitivi", verbalizzati con un linguaggio che più povero non si può immaginare, ma anche quelli "emotivi", per cui viene da chiedersi se questi ragazzi dispongono ancora di una psiche capace di elaborare i conflitti e, grazie a questa elaborazione, in grado di trattenersi dal gesto. Esiste nella nostra attuale cultura e nelle nostre pratiche di vita un'educazione emotiva che consenta loro di mettere in contatto e quindi di conoscere i loro sentimenti, le loro passioni, la qualità della loro sessualità e i moti della loro aggressività? Oppure il mondo emotivo vive dentro di loro a loro insaputa, come un ospite sconosciuto a cui non sanno dare neppure un nome? Se così fosse, di fatti simili a questa tragedia avvenuta nel Bresciano aspettiamocene molti, perché è difficile pensare di poter governare la propria vita senza un'adeguata conoscenza di sé. E qui non alludo alla conoscenza postuma che in età adolescenziale o in età adulta porta qualcuno dallo psicoterapeuta a cercare l'anima o direttamente in farmacia nel tentativo di sedarla; ma faccio riferimento a quell'educazione dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure, che mette al riparo da quell'indifferenza emotiva, oggi sempre più diffusa, per effetto della quale non si ha risonanza emozionale di fronte ai fatti a cui si assiste o ai gesti che si compiono. E chi non sa sillabare l'alfabeto emotivo, chi ha lasciato disseccare le radici del cuore, si muove nel mondo pervaso da un timore inaffidabile e quindi con una vigilanza aggressiva spesso non disgiunta da spunti paranoici che inducono a percepire il prossimo innanzitutto come un potenziale nemico.
E tutto ciò perché? Perché manca un'educazione emotiva: dapprima in famiglia, dove i giovanissimi trascorrono il loro tempo in quella tranquilla solitudine con le chiavi di casa in tasca e la televisione come baby sitter, e poi a scuola, quando ascoltano parole che fanno riferimento a una cultura che, per esser tale, non può che esser distante mille miglia da ciò che la televisione ha loro offerto come base di reazione emozionale. Oggi l'educazione emotiva è lasciata al caso e tutti gli studi e le statistiche concordano nel segnalare la tendenza, nell'attuale generazione, ad avere un maggior numero di problemi emozionali rispetto a quelle precedenti. E questo perché oggi i giovanissimi sono più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita, perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l'autoconsapevolezza, l'autocontrollo, l'empatia, senza i quali saranno sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare. Se la scuola non è sempre all'altezza dell'educazione emotiva, che prevede, oltre a una maturazione intellettuale, anche una maturazione psicologica, l'ultima chance potrebbe offrirla la società se i suoi valori non fossero solo business, successo, denaro, immagine, ma anche qualche straccio di solidarietà, relazione, comunicazione, aiuto reciproco, che possano temperare il carattere asociale che, nella nostra cultura, caratterizza sempre di più il mondo giovanile. Nel deserto della comunicazione emotiva che da piccoli non è loro arrivata, da adolescenti non hanno incontrato, e nelle prossimità dell'età adulta hanno imparato a controllare, fa la sua comparsa il "gesto", soprattutto quello violento, che prende il posto di tutte le parole che questi ragazzi non hanno scambiato né con gli altri per istintiva diffidenza, né con se stessi per afasia emotiva.
Si tratta di gesti che mettono in crisi la giustizia e, con la giustizia, la società che per tranquillizzarsi è sempre alla ricerca di un movente. E il movente in effetti non c'è, o se c'è è insufficiente, comunque sproporzionato alla tragedia, persino ignoto agli stessi autori. Cercarlo ci porta lontano, tanto lontano quanto può esserlo l'avvio della nostra vita, dove ci è stato insegnato tutto, ma non come "mettere in contatto" il cuore con la nostra mente, e la nostra mente con il nostro comportamento, e il comportamento con il riverbero emotivo che gli eventi del mondo incidono nel nostro cuore. Queste "connessioni", che fanno di un uomo un uomo, non si sono costituite, e perciò sono nate biografie capaci di gesti tra loro a tal punto slegati, da non percepirli neppure come propri. Questo è il nostro tempo, il tempo che registra il fallimento della comunicazione emotiva e quindi la formazione del cuore come organo che prima di ragionare, ci fa "sentire" che cosa è giusto e che cosa non è giusto, chi sono io e che ci faccio al mondo.
U. Galimberti - (5 ottobre 2002)
da: http://www.repubblica.it/online/cronaca/desire/analfabeti/analfabeti.html
Iscriviti a:
Post (Atom)